O.S.A.R.E. Il coraggio di scegliere ciò che è bene per noi
prima parte
Tutte le persone che arrivano nel mio studio mi pongono la seguente domanda:
Cosa posso fare per stare meglio?
La risposta è la seguente:
Utilizzare al meglio la sofferenza.
Cosa significa quest’affermazione?
Significa comprendere i meccanismi relazionali che ci fanno stare male.
Quando noi siamo nella pancia di mamma le relazioni sono inesistenti e di conseguenza gli stati d’animo e le emozioni, al massimo viviamo quelle di mamma.
L’utero è un mondo ovattato, un paradiso dalla temperatura ideale, con cibo sempre pronto nella giusta misura, non c’è nessuno che ci giudica, ci rimprovera, ci impone qualche cosa.
Non ci sono delusioni, gioie, non vi è nulla solo una dolce e tranquilla serenità.
In questo situazione noi siamo il mondo e il mondo è buono.
Poi arriva la nascita e iniziano i problemi generati dalla reazione con l’ambiente e con le persone che ne fanno parte, la serenità sembra irraggiungibile.
Ed ecco che ci si rivolge a ciò che sembra ci faccia stare bene: cibo, alcol, droghe, denaro, sesso, relazioni sentimentali e infine venditori di facili sogni.
La proposta di Self Awareness è quella di aiutare le persone a trovare un proprio equilibrio in base alla propria personalità e ai propri reali bisogni trovando il coraggio di scegliere ciò che è bene a prescindere dalle pressioni delle persone che ci circondano.
Vorrei a questo punto fare un piccolo esempio di ciò che affermo.
Un mio paziente era il classico tombeur de femme ed era molto invidiato dagli “amici” che lo vedevano come il classico fortunato che poteva svolazzare di fiore in fiore senza troppi problemi, per comodità di racconto lo chiameremo Rudy.
Il comportamento di Rudy, se fosse stato analizzato secondo i criteri del DSM V, poteva portare a una diagnosi di disturbo narcisistico di personalità.
Ma sia il giudizio degli amici e quello del DSM V erano sbagliati, Rudy era una persona piena di sofferenza.
Ogni rapporto che finiva per lui significava il rinnovarsi di un fallimento, la delusione di averci provato e, per l’ennesima volta, non essere riuscito a conservare l’oggetto d’amore.
Alla base di questi fallimenti vi era un suo comportamento relazionale errato, lui cercava in tutti modi di compiacere la donna amata sperando, così facendo, di essere a sua volta amato.
Purtroppo il meccanismo non funzionava mai, anzi..
Lui cercava donne apparentemente fragili, da proteggere ma che poi si rivelavano delle mantidi.
Ad ogni storia conclusa il senso di sofferenza era sempre più forte, sembra quasi che la sofferenza fosse parte del suo essere.
Rudy non riusciva a vivere senza soffrire e non sapeva cosa fare di questo carico.
Lo portai a guardare la sua sofferenza, a capire il suo stato d’animo e le emozioni che ne derivavano.
Da questa osservazione comprese il suo copione di vita, i suoi pensieri ricorrenti e quali decisioni prendere per stare meglio.
Comprese la differenza tra bisogni e motivazioni e in particolare a distinguere trai propri bisogni e quelli delle perone che lo circondavano.
Imparò a guardare la realtà con occhi diversi e a muoversi dentro di essa tenendo conto delle proprie necessità.
Il suo copione di vita era:
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- l’obiettivo di questo copione è evitare di essere abbandonato essendo buono,
- chi agisce questo copione si mostra disponibile e buono, purtroppo accumula tensione e purtroppo pur apparendo un super adattato è abbastanza rigido e pretende che chi dice di amarlo capisca i suoi pensieri senza parole.
Questo copione è generato dal comportamento della madre di Rudy che era molto poco accudente, lo rifiutava e si accorgeva di lui solo quando era compiaciuta dai suoi comportamenti.