ATTENZIONE ALLA GIUSTA DIAGNOSI
Domenica pomeriggio, ore 16.00.
Stavo passeggiando tranquillamente nella Baraggia Biellese, quando sento il trillo del telefono. Un numero sconosciuto. Rispondo e una voce maschile mi chiede: «È lei il Dottor Marchi?». «Si, desidera?». «Sono preoccupatissimo, mia moglie Vanessa è in preda all’ennesimo attacco di panico. Non so più cosa fare… ». Percepita la gravità della situazione, decido di vederli la sera stessa.
Arrivarono in studio marito e moglie; il papà teneva in braccio un bimbo di circa sei mesi, indiscutibilmente sveglio e con un aria furbissima. La signora guardava amorevolmente il figlio, ma aveva un viso decisamente segnato e sofferente: la feci accomodare in studio.
Iniziammo a parlare e lei mi raccontò che erano ormai tre mesi che soffriva di improvvise tachicardie, sensazioni di svenimento, aveva paura di morire. I classici sintomi dell’attacco di panico. Mi raccontò che prima di rivolgersi a me si era recata dal suo medico curante che, giustamente visti i sintomi, fece in modo che la signora smettesse di allattare per poter assumere degli ansiolitici. Ma la situazione invece di migliorare, aveva continuato a peggiorare.
E non solo: Vanessa iniziava a sentirsi inadeguata come madre.
E non poteva essere diversamente.
Continuai nel colloquio clinico, cercando di comprendere quando questi attacchi erano iniziati e perché. Il quando era riferito a tre mesi prima, il perché al momento non mi fu possibile appurarlo.
Chiesi alla signora il permesso di parlare congiuntamente con il marito e mi resi conto che, pur essendo conscio dei problemi della moglie, non riusciva a coglierne la gravità, pensando solo al fatto che lei stava trascurando il bambino e anche lui.
Questa è la classica situazione di una depressione post parto non riconosciuta, dove si ha una persona debilitata dal parto e dalle sue conseguenze.
Nel caso specifico, Vanessa aveva avuto un travaglio durato circa 30 ore e una lacerazione che aveva richiesto venti punti dati a freddo. Quando era tornata a casa non c’era nessuno a d aiutarla. Sua madre era già assente da quando lei era adolescente, la suocera era impegnata con l’attività di famiglia. Così si trovò da sola ad affrontare tutti i problemi che inevitabilmente ci sono quando arriva una nuova creatura in casa.
Spiegai alla signora che i suoi non erano reali attacchi di panico, ma bensì una situazione di stanchezza psico -fisica causata dai traumi del parto. Non usai la parola “depressione post parto” in quanto mi resi conto che avrebbe creato inutili allarmismi, ma in me era chiaro come avrei potuto aiutarla.
Innanzitutto scrissi al medico curante dandogli questa diagnosi e pregandolo di passare da una terapia di ansiolitici ad una temporanea di antidepressivi. Poi consiglia alla signora di assumere dei prodotti naturali che, contenendo tutti gli amminoacidi essenziali, le avrebbero fornito l’energia necessaria per superare questo momento.
Proposi poi alla signora un primo percorso basato su tecniche di rilassamento e sogni guidati che avevano lo scopo di aiutarla ad eliminare lo stress e permettere di comprendere le origini remote di questa depressione.
Durante queste sedute emerse che la sua storia emozionale neo natale e gli avvenimenti della vita successivi le avevano generato una costante situazione di ansia e insicurezza. Dopo due mesi la signora, che ormai era quasi al riparo dagli attacchi di panico, accettò di buon grado di seguire un percorso di psicoterapia che aveva come obiettivo farla diventare una madre serena e felice, in grado di vivere consapevolmente la sua maternità.
Dopo un anno Vanessa mi disse che lei e suo marito stavano mettendo in cantiere un altro bebè.