Una delle più grosse frustrazioni del mio lavoro è quella di non riuscire ad aiutare il paziente e questo purtroppo accade molte volte.
Il nostro lavoro è più complicato di quello del medico.

Il medico se è un bravo diagnosta, farmacologo o chirurgo una volta individuato il problema interviene con un modello di cura in cui il paziente è tendenzialmente soggetto passivo, o deve assumere un medicinale o riceve un intervento chirurgico mettendoci poco di se stesso.
Eventualmente i problemi sorgono se non segue una rieducazione corretta o continua un modello di vita errato.

Per noi psicologi non è così, nell’atto terapeutico siamo in gioco noi con il paziente è una continua interazione dai confini molto labili.
L’interazione è la cura, attraverso l’interazione terapeutica il paziente impara ad osservare i suoi comportamenti, i suoi modelli reattivi e prende consapevolezza di ciò che deve cambiare.

La coscienza

Il cervello, sede della coscienza, è un organo estremamente plastico che si modifica grazie all’interazione con l’ambiente trovando passo passo le strategie per agire sempre nuovi modelli comportamentali.
Le componenti in gioco sono molte e vanno dall’ereditarietà genetica, all’apprendimento dei copioni di vita dalle figure parentali fino alla gestione dei traumi.

Perché il paziente non vuole cambiare?
Perché ha paura del futuro e tutto ciò che è sconosciuto lo terrorizza, meglio una sana depressione che provare a vivere la vita.
Perché ha ricevuto dei copioni di vita basati sui sensi di colpa che gli impediscono di uscire da questa dinamica.
Perché il suo DNA non prevede il cambiamento.

Il caso di Rita

Ora però vorrei parlarvi di una persona che ci è riuscita il suo nome (di fantasia) è Rita.
Rita arrivò da me poco dopo aver avuto una figlia e in piena crisi con il coniuge, parlava apertamente di separazione.
Presi in carico lei e il suo coniuge in una sorta di terapia di coppia disgiunta, ognuno con il suo percorso perché le dinamiche erano troppo diverse.
Il coniuge era affetto da una sindrome depressiva di forte grado mentre lei arrivava da un’esperienza della famiglia di origine con un padre e una madre molto impegnati nel sociale ma anaffettivi nei suoi confronti.
A causa dei copioni di vita inculcati dai genitori lei era estremamente esigente con se stessa, nei riguardi del coniuge e stava attuando un percorso educativo rigido anche nei confronti della figlia.
La nota positiva di questa situazione era la sofferenza di Rita, una sofferenza feroce e profonda.
Lei non riusciva a sopportare il suo comportamento, le dispiaceva il suo comportamento con il coniuge e la figlia.

La sofferenza

La sofferenza le faceva comprendere che lei stava sbagliando, ogni volta che agiva in modo non corretto in lei il dolore e la sensazione di insofferenza era sempre più forte.
Al contrario di molti che tendono a sopire la sofferenza lei ha voluto guardarla in faccia e grazie alla psicanalisi ha riconosciuto la sofferenza che aveva provato lei in età infantile, questa modalità le aveva creato disagio e quindi non ha voluto ripeterla con la figlia.
La gravidanza ha riattivato le sue memorie genetiche profonde che erano in dissonanza con l’eccessiva severità genitoriale.
Si sentiva imprigionata in queste dinamiche di aggressività che non facevano parte del nucleo profondo del suo carattere o se vogliamo essere più precisi del suo patrimonio genetico originario.
Questo patrimonio le faceva vivere male il rapporto con i genitori, lei con gli anni aveva imparato a ingabbiare questi suoi sentimenti pur di non andare in contrasto con mamma e papà.

Il caso di Rita è emblematico sotto molti aspetti:
Innanzitutto dimostra come l’educazione corretta è quella rispettosa delle capacità del figlio e cerca di stimolare sentimenti e reazioni positive
La sofferenza nasce da un contrasto tra il proprio patrimonio genetico e il modello educativo dei genitori ( dobbiamo ricordare che noi siamo prole inetta che ha bisogno dei genitori per sopravvivere, è quindi semplice per i genitori agire sui sensi di colpa e sulla paura dell’abbandono per piegare il figlio ai propri obiettivi)
La psicanalisi è in grado di portare l’individuo a prendere consapevolezza del proprio nucleo originario permettendo al cervello di scegliere la strada per il proprio benessere.